I preparativi per questo viaggio si sono dilungati parecchio, ma solo l’ultima
voce della lista ha creato problemi:
- acquisto dei voli: l’opzione migliore per gli europei è probabilmente
sfruttare il collegamento Francoforte-Windhoek operato da Air Namibia
e Condor, ma si può valutare un’alternativa con scalo
a Johannesburg;
- noleggio di un’auto: la nostra scelta è caduta sulla compagnia
Avis che sembrava dare buone garanzie in fatto di stato dei mezzi ad
un prezzo molto competitivo;
- ottenimento della patente internazionale presso la motorizzazione (le solite
noie burocratiche nostrane);
- pianificazione dell’itinerario sfruttando un paio di guide, Google
Maps e la “letteratura” su internet;
- acquisto di un binocolo: lo strumento sarà importante, non siate
taccagni…
- prenotazione delle strutture per il pernottamento: i miei consueti compagni
di viaggio Anna e Andrea hanno scelto di far soffrire i loro portafogli dormendo
in lodge di qualità medio-alta, mentre io avrei optato per il campeggio
e probabilmente, pur non avendolo provato, col senno di poi, lo consiglierei.
Credo che il campeggio avrebbe regalato sensazioni ed emozioni più adeguate
al continente africano, oltre a risparmiarci una difficile e sconfortante prenotazione
fai-da-te di strutture alberghiere. Non ci è voluto infatti molto tempo per
capire che in Namibia i lodge in cui dormire sono pochi in rapporto alla bellezza
dei luoghi e che i tour operator dominano la scena del turismo bloccando con enorme
anticipo le stanze, soprattutto nelle zone in cui ci sono meno opportunità
di pernottamento. Già a gennaio non c’era verso di prenotare due camere
all’interno del Parco Etosha o nel Damaraland
e siamo dovuti scendere a compromessi: una situazione alquanto antipatica ma che,
tutto sommato, non ha pregiudicato la riuscita del viaggio.

La scelta dell’auto a noleggio riveste un ruolo importante: è
vero che non è indispensabile un fuoristrada per raggiungere le più
importanti attrazioni turistiche, ma una vettura alta, robusta, con quattro grandi
ruote motrici mi ha fatto sentire davvero a mio agio e mi ha consentito di viaggiare
veloce sulle tante strade sterrate, specialmente quando le condizioni di queste
non erano ottimali. Si tratta di un viaggio on-the-road e in Namibia
l’auto è davvero protagonista: ci si passano tante ore dentro quindi
scegliendo un mezzo affidabile, spazioso e confortevole difficilmente si sbaglia.
Se vi ho convinti che è giusto scegliere un fuoristrada sarà facile
scegliere quale, perché il Toyota Hilux di colore bianco domina
incontrastato la scena. In giro incontrerete praticamente solo quello con varianti
più o meno avventurose di allestimento. Un solo grande difetto: nel cassone,
nonostante la copertura, i bagagli si sporcano di polvere e sabbia.
Keetmanshoop e il Fish River Canyon
Una volta scesi stanchi ed assonnati dal solito “comodo” volo notturno
abbiamo sbrigato rapidamente le formalità doganali e cambiato un po’
di euro in dollari namibiani (sigla NAD o N$).
Ci siamo quindi
diretti in taxi verso l’agenzia Avis di Windhoek perché all'agenzia
dell'aeroporto non consegnano i fuoristrada.
La cosa è un po’ scomoda,
ma il tragitto di 40 minuti ci ha dato modo di ricevere qualche consiglio dal tassista
sulla guida nel suo paese. Al contrario di quello che si potrebbe pensare su una
nazione africana, pare che il principale pericolo per i turisti in Namibia non sia
la criminalità ma l’incidente stradale. Rarissime sono le collisioni
tra veicoli, mentre l’incidente mortale tipico è il ribaltamento
del veicolo dovuto a sbandamento sulle strade sterrate.
Quando realizzi
che le strade sono quasi tutte dei rettilinei nel deserto viene davvero difficile
credere che si possa sbandare, ma guidando mi son reso conto che il pericolo esiste
ed è dovuto alla forma convessa della sezione stradale che tende a spingerti
verso l’esterno e alle "tòle ondulée". Queste ondulazioni
trasversali che si creano su un manto stradale sterrato consumato vanno prese ad
una certa velocità (per una questione di confort davvero non si possono affrontare
a meno di 50km/h) e galleggiandoci sopra una jeep da 2/3 tonnellate può facilmente
diventare una saponetta impazzita ed incontrollabile.
L’esperienza pregressa
sulla moto da enduro mi ha forse aiutato a prendere confidenza rapidamente con lo
sterrato namibiano; considerando però anche la presenza di animali selvatici
consiglio davvero di essere prudenti alla guida.
La nostra prima destinazione era la cittadina di Keetmanshoop
che dista circa 500 Km dalla capitale ed è raggiungibile percorrendo verso
sud la strada B1, l’arteria principale della nazione che “vanta”
una carreggiata asfaltata con una sola stretta corsia per ogni senso di marcia.
Il buon asfalto, il limite di velocità di 120 Km/h e il traffico irrisorio
consentono di viaggiare con un ritmo da autostrada nostrana (stando attenti a non
investire pangolini o babbuini).
Non ci siamo potuti permettere molte soste
lungo il percorso, anche se queste avrebbero aiutato a combattere il sonno, perché
ad agosto il sole tramonta presto in Namibia (18:30 circa) e vicino alla destinazione
volevamo visitare la Quiver Tree Forest.
Dal
nome ci si potrebbe aspettare un bosco, ma si tratta “solo” di qualche
centinaio di alberi faretra raggruppati sul terreno arido di una fattoria a cui
si accede pagando un biglietto d’ingresso.
In Namibia se ne vedono tanti
di questi strani alberi che crescono su terreni rocciosi, ma è raro che ce
ne siano tanti in una zona piuttosto ristretta e questo aspetto ha reso unica questa
attrazione naturale facendole guadagnare il titolo di monumento nazionale.
Godersi
qui un tramonto africano insieme a qualche simpatica procavia delle rocce è
stata un’esperienza piacevole che consiglio.
La fattoria si occupa anche
di re-inserimento di ghepardi e abbiamo potuto vederne qualche esemplare.
Keetmanshoop è una cittadina grande per gli standard namibiani ma non
ha molto da offrire al turista a parte benzinai, bancomat (utili in Namibia per
prelevare soldi anziché cambiare contanti) e la vecchia chiesa della missione
renana trasformata in museo sui Nama, etnia che abita la zona.
Noi abbiamo pernottato presso la
Quiver Inn Guesthouse dotata di confortevoli appartamentini di cui usavamo solo
la camera, con la porta ben chiusa per trattenere l’aria calda della pompa
di calore di cui era dotata. Non abbiamo sfruttato invece la cucina ben attrezzata
e per cena e colazione ci siamo appoggiati al ristorante della vicina
Schützenhaus Guesthouse
apprezzandone la buona cucina simil-tedesca.
Un paio d’ore di Hilux su strade deserte e polverose ci separavano
da uno dei panorami più spettacolari della Namibia, quello del Fish River
Canyon, il secondo più vasto canyon del mondo e nostra successiva destinazione.
Durante il tragitto ci siamo fermati ad osservare la fauna selvatica (zebre,
orici, struzzi, ecc…) e a pagare il permesso d’ingresso presso l’ufficio
della Namibia Wildlife Resorts di Hobas.
Quando ci si avvicina al
Grand Canyon in Arizona non ci sono avvisaglie
del panorama che ti aspetta e anche qui è improvviso lo spettacolo vastissimo
che ti si apre davanti agli occhi quando arrivi al viewpoint.
Forse esistono
parole adatte a descrivere l’emozione che trasmettono questi paesaggi ma io
non le conosco. Mi limiterò a scrivere che siamo tornati al viewpoint anche
all'alba della mattina successiva quando i colori erano ancora più belli.
L’accesso
al canyon per fare trekking è permesso ma limitato a pochi escursionisti
registrati al giorno e ai quattro mesi meno torridi dell’anno.
Esiste
un solo itinerario di 85 Km lungo il fiume quasi sempre in secca da seguire per
4/5 giorni.
Credo che sia piuttosto impegnativo visto che chiedono di presentare
un certificato medico di buona salute prima di concederti il permesso e il comfort
non è certo paragonabile a quello del vicino
Gondwana Canyon Village dove abbiamo pernottato. Si tratta di un gioiello di
resort con camere in pietra e paglia incastonato nel paesaggio di colline rocciose
dell’omonima riserva privata. A parte un lodge della stessa catena si può
dire che la struttura è circondata dal nulla.
E’ possibile anche avventurarsi nella riserva seguendo un percorso self-drive
per 4x4 oppure unendosi ad un game drive organizzato. In quest’ultimo caso è
opportuno vestirsi con abiti caldi perché ad agosto nelle jeep aperte c’è
qualche spiffero gelido…
Noi siamo stati un po’ sfortunati con
l’avvistamento di animali, ma ammirare il tramonto sull'immensa savana erbosa
che si raggiunge in fuoristrada è stata comunque un’esperienza affascinante.
Un vero fiume e la leggenda del “caldo africano”
Se volete vedere l’acqua scorrere nei fiumi di uno dei paesi più
aridi del mondo dovete raggiungerne i confini: a nord sono segnati dai fiumi
Kunene e Okavango mentre a sud dal fiume
Orange.
In tutto il resto del territorio i letti dei fiumi
possono accogliere questo fluido vitale solo in occasione delle poche settimane
piovose dell’anno e non ci sono garanzie che ciò avvenga.

Il nostro programma prevedeva di rimanere nella regione di Karas
e raggiungere la piccola cittadina di Aus.
Dal resort della
catena Gondwana abbiamo però scelto la strada più lunga per arrivarci,
quella verso sud che arriva a costeggiare l’Orange River e che, attraverso
l’aspro territorio dell’Ai-Ais Richtersveld Transfrontier Park,
ritorna verso nord.
Devo dire che anche solo dopo pochi giorni di permanenza
in Namibia è stato bello ammirare (insieme a qualche simpatico babbuino)
l’acqua scorrere in un vero fiume.
I paesaggi incontrati e le polverose
strade percorse erano caratterizzati da un’affascinante desolazione che portava
a chiedersi “cosa facciamo se la macchina si ferma”?

Per fortuna l’Hilux non ci ha traditi e siamo tornati alla civiltà
incontrando la giovane e vivace cittadina mineraria di Rosh Pinah il cui paesaggio è
dominato da una grande miniera in cui una compagnia canadese estrae rame, zinco
ed altre materie prime.
Un bel pieno alla stazione di servizio e il viaggio è continuato su asfalto
verso nord seguendo il confine della Sperrgebiet, una vastissima zona proibita
nota anche come Diamond Area 1.
Non c’è molto ad impedire
l’accesso alla zona per cercare un diamantino come souvenir, ma la leggenda
narra che sparino a vista a chi provi ad entrarci senza permesso: io ci credo, ma
più che altro perché non ho voluto fare un esperimento sulla nostra
pelle…
Quando sentirò ancora parlare di "caldo africano" farò sicuramente
una risata ironica: ad Aus abbiamo battuto i denti per due notti presso l’Orange House.
Questa villetta singola data in affitto ad un prezzo modico rappresenta sicuramente
un’opportunità per far rifiatare il portafogli tra un lodge e l’altro,
ma la stufa in salotto non era sufficiente a riscaldare bene anche le due stanze
da letto. Anna ha risolto acquistando una borsa per l’acqua calda presso l’emporio
del paese, ma il comfort non è stato ottimale e, pur essendo una valida sistemazione,
non mi sentirei di consigliarla durante la stagione fredda.
Il ristorante del vicino Bahnhof Hotel
che gestisce la villetta era l’unica possibile scelta per cenare, ma devo
dire che non ha deluso, con un’ampia scelta di pietanze ed un buon servizio;
d’inverno però fatevi assegnare un tavolo all'interno, perché
nella veranda si pativa un po’ il freddo nonostante fosse in funzione una
stufa a fungo.
Lüderitz e l'esaurimento delle vene diamantifere
Non abbiamo fatto colazione al Bahnhof Hotel e poco dopo l’alba ci siamo
diretti verso l’Oceano Atlantico, verso Angra Pequeña,
un tratto di costa ventosa “incastonato” tra la Diamond Area 1
e le dune del Namib a circa 120 Km da Aus.
Qui è dove approdò
il Bartolomeo Diaz verso la fine del quindicesimo secolo e dove nell'ottocento sorse
la cittadina di Lüderitz.

La giornata è stata dedicata alle seguenti attività…
- avvistamento dei cavalli del deserto presso la pozza artificiale denominata
Garub Desert Horses ad una ventina di chilometri da Aus;
- colazione a Lüderitz (il Garden Café si affaccia su
uno dei due porti della Namibia, offre un’atmosfera piacevole e grandi
fette di torta);
- acquisto presso l’agenzia Safaris & Tours in Bismarck
Straße del permesso e visita della vicina città fantasma di Kolmanskop;
- escursione in auto a Diaz Point, il promontorio battuto da vento ed onde
dove il navigatore portoghese eresse una croce (oggi se ne può vedere
una copia);
- breve tour sulla desolata costa con tappe a Guano Bay, Halifax Island (con
un buon binocolo dagli scogli sulla terraferma si vedono i pinguini che la popolano)
e Große Bucht;
- vista sulla città dalla collina sulle rocce adiacenti alla chiesa;
- gita ad Agate Beach con attraversamento involontario di un quartiere-baraccopoli
di Lüderitz.

Ho apprezzato particolarmente l’atmosfera decadente di Kolmanskop e l’esplorazione
delle sue case abbandonate che il deserto sta lentamente ingoiando con la sabbia.
Inquietante osservare coi propri occhi come l'esaurimento delle vene diamantifere
possa distruggere anche una cittadina all'avanguardia nel progresso.
Toccante
invece il colpo d’occhio sul quartiere vivace e povero della città
con le sue baracche in lamiera, specialmente considerando che la parte “bella”,
diciamo così, di Lüderitz è davvero pulita, ordinata e caratterizzata
da una pittoresca quanto un’improbabile architettura tedesca.
Namib, una distesa di sabbia
La parola “Namib” in lingua Nama significa proprio “luogo vasto”.
Per chi non lo sapesse si tratta di uno dei deserti più antichi del pianeta
e le dune si estendono grossomodo da Lüderitz fino a Walvis Bay.
Per costeggiarle tutte da una città all’altra si percorrono più
di 800 Km di cui solo un centinaio sono asfaltati, quelli fino ad Aus.
Abbiamo dedicato 4 giorni a questo itinerario, seguendo le strade C13, D707 e
C27 fino a Sesriem, poi C19 e C14 fino a Walvis Bay.
I panorami sono tra i più
belli e desolati della Namibia: si costeggiano le enormi proprietà delle
fattorie, si attraversano la NamibRand Nature Reserve e una parte
dell’enorme Namib-Naukluft National Park, la più vasta area
protetta di tutta l’Africa.
Domanda: secondo voi è utile spazzare la sabbia in un deserto?
Continuate nella lettura del racconto e scoprite che la risposta potrebbe non
essere quella ovvia...

In Namibia qualche volta si incontrano cartelli che indicano di non guidare fuori
dalle strade. All'interno della NamibRand Nature Reserve, vedendo diverse zebre
mi sono allontanato dalla C27 su una stretta carrareccia e, una volta scattata qualche
foto, ho fatto inversione a "U" percorrendo tre metri fuori dalla "sede stradale".
Un giovane molto arrabbiato ci ha inseguiti con il suo pick-up e, dopo averci
raggiunti, si è rivolto a noi in modo minaccioso. Si è calmato e i
toni sono diventati più amichevoli solo dopo che ho provveduto a spazzare
via i segni degli pneumatici dal luogo incriminato.
La morale di questa polverosa storia è quindi la stessa di una giornata
sciistica a Cortina d'Ampezzo: evitare il fuoripista... e sì, può
essere utile spazzare la sabbia nel deserto!
La
Duwisib Guest Farm ci ha offerto dei semplici bungalow in pietra in cui riposarci
durante il tragitto.
I gestori riservano agli ospiti una calorosa accoglienza
in un ambiente rustico e rilassante; nella calda atmosfera conviviale della cena
potrete assaggiare deliziose pietanze a base di selvaggina e forse avrete l’opportunità
di chiacchierare con l’anziano proprietario cogliendo dai suoi racconti un
affascinante spaccato della vita nelle grandi fattorie del sud della Namibia.
A parte la visita ad un piccolo quanto decontestualizzato castello, Duwisib non
ha molto da offrire al turista, quindi non abbiamo esitato a dirigerci verso il
vero piatto forte di un viaggio in Namibia: Sossusvlei.
Il polveroso tragitto
verso nord è caratterizzato da vasti e variopinti panorami: si respira una
piacevole aria di solitudine ed isolamento dal mondo. Questa però scompare
rapidamente con l’arrivo a Sesriem, la porta d’ingresso
principale del Deserto del Namib, dove ci si ritrova inevitabilmente circondati
da turisti.

Qui abbiamo preparato l’escursione del giorno successivo procurandoci i
permessi per visitare il parco, facendo rifornimento di carburante, bevande e snack.
Abbiamo anche visitato il vicino canyon prima di raggiungere il
Gondwana Namib Desert Lodge che avevamo prenotato, a “soli” 60 Km
dal centro visitatori, dopo un “comodo” sterrato.
Si tratta di una
struttura piuttosto grande e molto curata: un giardino in mezzo al deserto nei pressi
di una rossa collina rocciosa.
Sei uno dei tanti clienti e l’atmosfera è
meno intima, ma il sontuoso buffet serale è sicuramente apprezzabile, con
pietanze per tutti i gusti.
Non so se si sia già capito, ma cenare nei resort in cui si dorme è
una scelta obbligata: le uniche alternative sono gli snack comprati alle stazioni
di servizio o il digiuno, perché non ci sono ristoranti nei deserti.
E’ sconsigliato guidare con il buio in Namibia per il pericolo di incidenti
stradali con gli animali.
Noi ci siamo comunque mossi prima dell’alba
per arrivare ai cancelli del parco alla sua apertura al sorgere del sole: non ho
incontrato grandi insidie, ma in effetti qualche zebra sulla strada l’abbiamo
spaventata e non credo che sia facile convincerle a compilare la constatazione amichevole
se, per esempio, le investi mentre sono nascoste nella nuvola di polvere alzata
da un’altra auto...
Intraprendere i 60 Km di strada asfaltata da Sesriem a Sossusvlei all’alba è
sempre la scelta migliore: le dune sono molto rosse, molto fotogeniche, e l’aria
fresca rende meno faticoso scalarle.
Rimane comunque estremamente faticoso!!!
Se come me non siete degli atleti armatevi di acqua, cappello, crema solare e
prendetevela comoda: riuscirete comunque a raggiungere la cima di dune molto alte
come per esempio Duna 45, Big Mama o Big Daddy, la duna
più alta del mondo a cui
Wikipedia attribuisce 390
metri. Quando ne ho intrapreso la salita (senza bombole d’ossigeno) non conoscevo
il primato di quest’ultima e l’avrei considerata la solita “balla”
propinata ai turisti; ora che l’ho scalata ci credo ciecamente! L’esperienza
paesaggistica è sublime: dalla cima, una volta asciugatosi il sudore sugli
occhi, lo sguardo si perde nella vastità arancione del Namib.
Se volete qualche consiglio sulla scalata del Big Daddy, date un'occhiata al
breve video che ho girato... contiene molte utili informazioni.
Quando vi stancate dell’arancione potete guardare in basso dove brilla
la superficie del Deadvlei, un’antica oasi che oggi appare come una piatta
depressione di argilla bianca e sale. 900 anni fa, in seguito alla deviazione del
corso del Tsauchab, la palude in cui questo fiume terminava è morta e il
clima arido ha pietrificato le acacie.
Il cielo qui è considerato tra
i più limpidi della Terra e il colpo d’occhio bianco-arancio-blu non
ha eguali sul pianeta.
Questo è uno dei luoghi più affascinanti che ho incontrato nei
miei viaggi e sicuramente il più bello della Namibia: merita assolutamente
la sua popolarità.
La nostra vacanza in questo paese però non finisce qui e vi invito a seguirmi
nella lettura del racconto, perché molte altre esperienze ci aspettano.
Walvis Bay, una villa e un’altra distesa di sabbia
Nella ex-colonia britannica non ci aspettava l’appartamento che avevamo
prenotato, il
Portside 2.
I gestori ci hanno fatto sapere che c’era stato un incendio nell’immobile
e per le due notti ci hanno offerto, allo stesso prezzo, la
Dolphin Beach Villa. Qui brucerebbero davvero tante cose, perché l’abitazione è
immensa e piena di oggetti di arredo.
Entrando si sente un certo strano odore
non ben identificato, ma ci si abitua rapidamente e la cosa non disturba il soggiorno.
Si fa invece fatica ad abituarsi all’idea di non abitare qui… in
questa sontuosa dimora sulla spiaggia con 600mq di stanze vista mare.
Impossibile
sfruttare in due giorni tutti gli optional presenti: noi barboni abbiamo apprezzato
in particolar modo la lavatrice e l’asciugatrice, per mettere a nuovo il nostro
guardaroba.
Abbiamo invece lasciato inutilizzata la superaccessoriata cucina
scegliendo di cenare e far colazione nel vicino
Salt Restaurant: locale un po’ anonimo,
stile business hotel, ma ci è tornato utile.
In città ci siamo appoggiati ad una qualsiasi delle agenzia sul Walvis
Bay Waterfront per organizzare una gita di mezza giornata a bordo dei loro
4x4 con destinazione Sandwich Harbour.

Si tratta del posto più accessibile (diciamo “meno non accessibile”)
in cui vedere una distesa di giovani e gialle dune del Namib incontrare l’oceano.
Il “piacevole” venticello tipico del luogo non ha aiutato a goderne
la bellezza.
Le raffiche di sabbia abrasiva hanno ridotto al minimo il tempo
trascorso fuori dalla jeep; non ci siamo comunque fatti mancare la scalata di una
piccola duna per vedere questo paesaggio particolare.
Il bagnasciuga non era
percorribile per l’alta marea ma l’autista, dopo aver sgonfiato quasi
completamente i pneumatici della sua vecchia Range Rover, ha affrontato
con disinvoltura salite e discese sulla sabbia: l’esperienza rallistica è
divertente, anche se non allo stesso livello di quella sulle dune buggy a
Huacachina in Perù.

L’escursione, condita da avvistamenti di sciacalli e fenicotteri rosa, è
comunque nel complesso decisamente consigliabile.
Ti è piaciuto fino ad ora il racconto del viaggio?
Prima di continuare puoi iscriverti alla mailing list. Non sono uno che manda tante e-mail, se ne spedisco un paio all'anno è tanto.
Però, giusto per non perderci di vista...
Skeleton Coast, relitti e una distesa di otarie
Salutate la villa e le piattaforme petrolifere di Walvis Bay, abbiamo dedicato
una giornata a seguire l’Oceano Atlantico verso nord per raggiungere l’isolato “resort”
NWR a Terrace Bay: l’itinerario non segue una costa qualunque, ma
la famigerata Skeleton Coast.
Superato l’abitato di Swakopmund è cominciato un
viaggio verso il nulla in un’atmosfera di crescente isolamento dal mondo,
attraverso uno scenario sempre più aspro ed inospitale, tendente al nebbioso.
L’unica possibile strada è la C34, sterrata ma in buone condizioni
nonostante la presenza di sabbia mossa dal vento. Accanto ad essa, ben segnalati,
giacciono inquietanti relitti di navi e pozzi petroliferi arrugginiti e si possono
facilmente avvistare iene brune e sciacalli.
Si fa sosta anche all’ingresso
dello Skeleton Coast Park, dove campeggiano ossa di balena e cartelli raffiguranti
teschi.
Tutto ciò contribuisce a creare un’affascinante atmosfera spettrale
da “confini del mondo”.

Unica parentesi simpatica è la visita a Cape Cross di una grande colonia
di otarie del Capo, la più popolosa del mondo grazie al tanto pesce da mangiare
portato dalla corrente del Benguela.
I loro predatori marini
e terrestri non sembrano molto agguerriti: orche, squali e iene qui non ne abbiamo
visti, mentre i piccoli sciacalli si muovono per la colonia con fare ostile, ma
decisamente poco convinto.
Nuotare-mangiare-lagnarsi-poltrire, nuotare-mangiare-lagnarsi-poltrire…
le giornate di questi mammiferi trascorrono monotone scandite da queste attività
e quella della pennichella di gruppo sembra decisamente la più amata.
Purtroppo invece questi paciocconi non si dedicano affatto all’igiene personale:
passeggiare nella colonia è una potente esperienza olfattiva e bisogna mettere
in conto che capelli/vestiti puzzeranno di otaria per qualche giorno. Oltre al naso
anche l’orecchio è sollecitato da una sovrapposizione continua di richiami
mamma-cucciolo che risuonano senza soluzione di continuità come strazianti
lamenti.

Pochissimi turisti si spingono a nord oltre il bivio con la C35, ancora meno
oltre quello con la C39 e il
Terrace Bay Resort
(unica scelta possibile per dormire) risulta piuttosto desolato.
L’immagine
dell’incontro con un scheletrico e spelacchiato sciacallo che trascinava un
cormorano morto è piuttosto rappresentativa dell’atmosfera che si respirava
in questa struttura.
I bungalow a ridosso di questa costa ventosa sono semplici
e adeguati ad un soggiorno di una notte, nulla più.
Il ristorante domina
l’area da una collinetta: tappezzato di scritte sui muri, non è spettacolare,
ma fa decisamente il suo dovere, considerando dove ci si trova.
Attività da fare in zona? Pesca. Splendido sarebbe sicuramente spingersi
ad esplorare le dune ad est della costa, ma oltre alle iene pare ci siano anche
i leoni: forse è meglio evitare…
Damaraland e Kaokoveld
Al contrario di altre regioni della Namibia, qui l’atmosfera è decisamente
più africana: scompaiono quasi completamente i visi bianchi e le grandi proprietà
lasciano il posto a piccoli insediamenti rurali dediti alla pastorizia.
A lato
delle polverose strade si cominciano quindi a vedere anche esseri umani.

Esistono strutture ricettive per i turisti, ma sono veramente poche, tendenzialmente
lussuose e con scarsa disponibilità di camere.
Abbiamo avuto difficoltà
a prenotare nel Damaraland: cercavamo vicino a Palmwag e alla fine
abbiamo dormito in una tenda ben attrezzata all’Hoada Camp Site, un campeggio isolato immerso nel bush lungo la C40 in direzione Kamanjab,
oltre il Grootberg Pass.
Non c’è un ristorante, ma all’arrivo
ti consegnano un pacchetto di carne e verdure da fare ai ferri nell’apposita
area barbecue allestita accanto ad ogni tenda.
I vestiti e i capelli di Anna,
la nostra chef/scout, sono passati dal puzzare di otaria al puzzare di fumo.
Pesa invece, grande tifoso bianconero, è riuscito a vedersi la partita della
squadra del cuore in una baracca di 4mq dotata di parabola satellitare nella zona
riservata al personale di servizio: per lui lo spettacolo era la partita, mentre
per i bambini lo spettacolo era lui.
Gli animi più romantici apprezzeranno invece il tramonto dalla cima delle
grandi rocce nei pressi della reception.

Nel Kaokoveld ci siamo trattati meglio e abbiamo alloggiato
presso l’Opuwo Country Lodge, una bella struttura adagiata sulla collina che domina l’omonima
città e caratterizzata da un’atmosfera affascinante e un buon servizio.
Queste di seguito sono le attività a cui ci siamo dedicati, in ordine
cronologico:
- il nostro primo incontro con elefanti liberi in natura (due femmine e due
cuccioli vicino alla strada C39);
- visita del sito di arte rupestre di Twyfelfontein;
- il nostro primo incontro con giraffe libere in natura (un maschio e due
femmine lungo la C43 nei pressi di Palmwag);
- esplorazione off-road del letto del fiume Hoanib con avvistamento
di un numeroso branco di babbuini e di altre giraffe;
- vana ricerca di un baobab da fotografare (qui dovrebbero essercene);
- visita ad un villaggio Himba a circa 20km di distanza da Opuwo;
- prelievo di contanti nelle banche del capoluogo del Kunene;
- sosta ad un autolavaggio presso Opuwo dove ho capito perché la Namibia è
un deserto: l’acqua la sprecano tutta per lavare le macchine…
La visita ad una piccola comunità Himba è stata possibile contattando
una guida e lo abbiamo fatto con semplicità e rapidamente sfruttando la reception
del lodge.
L’appuntamento era davanti al supermercato perché bisognava
fare una rapida spesa di generi alimentari da donare alla tribù in cambio
dell’accesso al villaggio (farina, zucchero, riso e mele).
Rimunikavi,
oltre ovviamente a farci da traduttore, ci ha spiegato brevemente l’origine
dei gruppi etnici che abitano il nord della Namibia e raccontato gli usi e i costumi
tradizionali del più conservatore di questi, quello appunto degli Himba.
Gli uomini erano via ad un funerale per qualche giorno, ma poco male, perché
vestendosi in modo “occidentale” risultano meno tipici, mentre le donne
sono più conservatrici e si presentano in modo decisamente più inusuale
ad uno sguardo europeo.

Ci hanno organizzato una piccola dimostrazione sull’uso dell’ocra
per ricoprirsi il corpo, sull’uso di gioielli, accessori, acconciature socialmente
simbolici e sulle abitudini di lavaggio con fumi profumati: non usano l’acqua
per pulirsi, poiché possono recuperarne solo una ventina di litri al giorno
andandola a prendere a piedi (a 16km di distanza in quella zona).
Un bel tramonto, una mela a testa, qualche foto ricordo: così si è
conclusa questa esperienza, una bella esperienza che fa riflettere.
Il parco Etosha
Questo parco nazionale è davvero una meta molto popolare, ma il turismo
non sembra sfruttato in modo eccessivo e ci sono tante regole da rispettare per
proteggere gli animali dai visitatori e i visitatori dagli animali.
La regola
principale, molto rispettata, è non uscire dall’auto: in alcuni luoghi
recintati si può farlo, ma abituatevi all’idea di trascorrere tante
ore in macchina.
Non si può entrare nel parco prima dell’alba e uscirne dopo il tramonto:
le distanze all’interno sono notevoli ed è quindi opportuno organizzarsi
bene gli spostamenti per non incorrere in multe molto salate.
La strada tra Opuwo e il Galton Gate è asfaltata e si divora
comodamente in un paio d’ore.
All’interno il comfort sfuma, le strade
peggiorano e i tempi di percorrenza si allungano, complici anche le frequenti soste
per avvistamenti presso le pozze d’acqua.
La parte ad ovest di
Okaukuejo (dove c'è il principale resort del parco) è davvero
enorme e poco frequentata, vista la quasi assenza di strutture ricettive NWR:
c’è solo il Dolomite Camp. Nell’area a est invece ci
sono i camp Halali, Onkoshi e Namutoni.

Ideale sarebbe poter dormire in più zone all’interno dell’Etosha,
ma è davvero difficile ottenere una prenotazione dei bungalow anche con diversi
mesi di anticipo.
Noi abbiamo dormito tre notti presso il
Gondwana Etosha Safari Camp, appena fuori dall’Anderson Gate.
Purtroppo hanno qualche problema di puzza di cloaca intorno ai bei bungalow
e la struttura non è curata come le altre della “collezione”
Gondwana, ma l’area ristorante è vivace e regala serate piacevoli;
il buffet è ricco ma non esaltante.

Per quanto riguarda gli incontri con gli animali, rimane il rimpianto per non
aver visto il leopardo e il ghepardo.
Altri visitatori che abbiamo incontrato li hanno avvistati, ma questo non ci
consola affatto, anzi… C’è poco da fare comunque, serve fortuna.
Non credo che abbiamo avuto un successo al 100% e non mi sento quindi sufficientemente
referenziato per poter insegnare, ma provo comunque a stilare un piccolo decalogo
nella speranza che questi consigli possano risultare utili:
- Superare la timidezza e parlare con gli altri viaggiatori: le persone sono
tendenzialmente stanche alla sera e chiuse in macchina durante il giorno, ma
visitare Etosha è un’esperienza appagante e se coglierete le poche
occasioni per attaccare bottone con gli altri visitatori questi vi racconteranno
le loro esperienze con un luccichio di gioia negli occhi e voi potrete guadagnare
informazioni decisive per gli avvistamenti
- Mettersi in movimento all’alba per avere più possibilità
di incontrare i felini, dato che questi trascorrono le ore più calde
riposandosi all’ombra lontano dalle strade
- Chiedere consigli alla guida del vostro lodge: anche se non monterete sulla
sua jeep sarà comunque molto disponibile ad aiutarvi
- Spegnere il motore nei parcheggi dei “waterhole” e pazientare
anche se non c’è anima viva: non partite dopo un minuto in direzione
della pozza successiva, perché dopo 5/10 minuti lì potrebbero
arrivare tanti animali
- Riaccendere velocemente il motore qualora un elefante o un rinoceronte vi
puntino
- Scandagliare l’orizzonte con il binocolo durante gli appostamenti:
prima di andare via dalla pozza si potrebbero vedere animali in avvicinamento
e potrebbe essere opportuno aspettare
- Fare attenzione alle auto ferme: vuol dire quasi sicuramente che l’occupante
sta guardando un animale; potrebbe essere il loro primo springbok quando voi
ne avete già visti 493, ma vale comunque la pena controllare
- Fiondarsi come se non ci fosse un domani verso i gruppi di auto ferme: è
impossibile che più gruppi di turisti vedano per la prima volta uno springbok:
c’è sicuramente qualcosa di grosso o raro!
- Prima di partire per la Namibia procurarsi una bella guida sui mammiferi
africani che spieghi le loro abitudini e al gate di Etosha acquistare il fascicoletto
con i disegni degli animali da spuntare e collezionare
- Se siete in due in macchina sedersi dallo stesso lato e parcheggiare lateralmente
a favore di pozza; se siete più di due essere generosi e alternare il
lato di parcheggio per garantirvi il quieto vivere nell’abitacolo

Quando terminerà la vostra esperienza Etosha vi sentirete sollevati e
rilassati perché è faticoso passare le giornate in auto e la corsa
agli avvistamenti può essere stressante: è richiesta concentrazione
e determinazione.
Il piacevole calo di tensione però lascerà presto
il posto ad una grande amarezza: la natura selvaggia regala tanta emozione e non
mancherà una sorta di crisi di astinenza! Vi garantisco che quando ho ripreso
a guidare in Italia continuavo scrutare il ciglio della strada e, come potrete immaginare,
non ho più visto alcun big five…
Il ritorno verso Windhoek
Da Namutoni ci siamo diretti verso sud e abbiamo pernottato in una riserva privata
presso l’Ohange Namibia Lodge.
La struttura è piuttosto semplice ma l’atmosfera
del luogo è molto bella: abbiamo cenato all’aperto vicino al fuoco
scoppiettante con vista su qualche springbok che bighellonava sotto la luce di un
faro.
Il giorno successivo ci siamo diretti al Meteorite di Hoba: si tratta
del più grande oggetto spaziale che sia mai stato rinvenuto sulla Terra.
Se vi affascina l’idea di farvi un selfie con questo grande sasso ferroso
proveniente dallo spazio andateci, pagate il biglietto, toccatelo e scattate la
foto, non c’è molto altro da fare.
Se non ci andrete invece… non credo che avrete grandi rimpianti.

La nostra successiva tappa era il
Wabi Lodge
in una riserva di caccia convertita anni addietro in riserva naturale protetta.
Questa struttura non offre alloggi particolarmente curati ma si trova a ridosso
del Waterberg Plateau una piatta montagna che svetta sopra ai vasti altipiani del
Kalahari namibiano.
Qui abbiamo dormito due notti con l’idea di rilassarci
e visitare la vicina area del parco nazionale; una volta raccolte le informazioni
in loco abbiamo deciso di rinunciare a quella visita programmata e partecipare invece
ad un paio di game drive all’interno della Wabi Reserve.
Con una guida, sulla tipica jeep aperta, abbiamo esplorato la zona per alcune
ore salendo anche sulla parte del Waterberg Plateau inclusa in questa proprietà
privata.
Mi mancava la spunta su leopardi e ghepardi e qui c’è
la possibilità di avvistarli.
Missione fallita!
Babbuini, antilopi roane, impala, giraffe, molti uccelli
colorati.
Ci sono comunque parecchi animali selvatici da avvistare: l’esperienza è
stata piacevole e anche rilassante.

Ci hanno portato anche ad incontrare un gruppo di cinque ippopotami in un laghetto.
Non si può certo dire che siano addomesticati, ma sicuramente sono abituati
all’uomo e accettano il suo aiuto: abbiamo assistito alla consegna di qualche
balla di fieno che i grossi mammiferi hanno divorato in compagnia di qualche facocero.
Patrick, il gestore del lodge, mentre Pesa cercava di farselo amico per vedere la
partita della Juve sulla sua tv, ci ha spiegato che si fanno arrivare quel
tipo di biada addirittura dal Sudafrica.
Nel caso ve lo domandaste, sì,
Pesa ha visto la sua squadra vincere (tanto per cambiare!) ma non siamo invece riusciti
a convincere Patrick a farci fare un game drive notturno perché diceva che è
troppo pericoloso e che non se la sente di prendersi questa responsabilità
con i turisti.

Il 26 agosto ci siamo presentati presso la tomba di Samuel Maherero a Okahandja
con l’idea di osservare i discendenti Herero di questo capo tribù nella
consueta annuale processione commemorativa in abiti tradizionale.
Missione fallita!
Arrivati sul luogo, questo era vuoto e alla sola donna
presente, probabilmente la custode della vicina chiesa, abbiamo posto la domanda “ma
herero day is today?”.
Ci ha spiegato che la processione era già
avvenuta e di provare a passare il giorno successivo (spoiler: stesso risultato)
oppure di andare a vedere gli Herero al loro accampamento vicino al centro commerciale
della cittadina.
Lo abbiamo fatto, ma la location era piuttosto “ruspante”,
diciamo così, e non ci siamo infilati a disturbarli con le nostre foto.
Siamo quindi andati in cerca di souvenir nell’unico luogo di interesse
di Okahandja durante i 364 non-herero-day dell’anno, ossia il mercato dei
falegnami.
Qui i coloriti e numerosi imbonitori/artigiani ci hanno fatto recitare per la
seconda volta in Namibia la parte dei turisti da spennare (c’era già
stata una situazione simile al Walvis Bay Waterfront).
La nostra ormai
decennale esperienza internazionale in fatto di contrattazione ci ha fatti uscire
dal polveroso Mbangura Woodcarvers Craft Market con tante sculture in legno
in più e qualche dollaro namibiano in meno.
L’ultimo pernottamento in terra namibiana è stato presso
The Elegant Guesthouse ad una trentina di chilometri da Okahandja lungo la strada
D2102.
La struttura mi è piaciuta: molto curata e confortevole.
Come
in tanti altri lodge c’è la piscina e sono certo che sia molto godibile
in una stagione più calda.
Organizzano escursioni ed attività,
ma noi ormai eravamo sfiniti e ci siamo limitati a riposarci.
L’ultimo giorno prima del volo serale lo abbiamo dedicato ad una poco approfondita
visita della città di Windhoek: un paio di “vasche”
su Independence Ave., una visita alla Christuskirche e un giro in auto
nel quartiere popolare di Katutura, poco altro.
Per pranzo volevamo una pizza
e cercavamo il consigliato "Sardinia" Blue Olive, ma questo ristorante si era trasferito
e al suo posto nella via principale c'era il "Sicilia": la posizione è tattica
se necessitate di altri souvenir perché c'è un Craft Center in Garten
Street, la pizza è commestibile ma non memorabile.
In generale nemmeno la giornata è stata memorabile, però almeno
Anna ha spedito le sue due cartoline dalle poste centrali.
Queste sono arrivate
velocemente a destinazione in Italia al contrario di quelle imbucate da me e Pesa
all’Halali Camp di cui non abbiamo avuto più notizie…
se le sarà mangiate un leopardo!
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