Anche se nel romanzo Killer Elite di Ranulph Fiennes (da cui è stato tratto il film con Robert De Niro e Jason Statham) l’Oman compare solo nei flashback, il racconto mi aveva messo la pulce nell’orecchio su questo paese della penisola arabica.
Di solito quando si parla di Arabia, si pensa subito all’Arabia Saudita o agli esclusivi Emirati Arabi, l’Oman non è il primo paese che ti viene in mente.
Invece questo affascinante paese affacciato sull’Oceano Indiano offre paesaggi meravigliosi e storiche fortezze in mezzo al deserto.
Vediamo se riesco a farvi venire voglia di visitarlo… l’unico apparente problema è che noi volevamo andarci in agosto.
È una cosa fattibile viaggiare in Oman in piena estate?
Riusciremo a starci tre settimane senza farci venire un coccolone e scioglierci come neve al sole?
Se anche tu ti stai facendo le stesse domande ti rispondo subito: sì, si può fare. Anzi se leggerai tutto il racconto scoprirai delle cose molto curiose sul clima omanita.
Oman on the road: 4x4 e utili optional
La prima cosa che io, Sara, Boris e Andrea dobbiamo fare a Muscat è noleggiare un fuoristrada, mezzo indispensabile per viaggiare in Oman.
Vi dico subito che il paese non si gira con i mezzi pubblici, serve un’auto adatta ad affrontare molteplici varietà di terreno: l’asfalto incandescente, la sabbia finissima delle dune, i corsi d’acqua che ogni tanto invadono la strada e le ripide mulattiere (o forse dovrei dire… cammelliere).
Non fate l’errore di pensare solo al deserto: l’Oman ha moltissime strade sterrate di montagna, ripide e sassose, è un attimo battere sotto e fare fuori la coppa dell’olio.
Oltre alle suddette caratteristiche indispensabili, la nostra mitica Tahoe aveva due optional di cui ci siamo innamorati.
Il primo è il frigobar: quando abbiamo ritirato l’auto ci sembrava un’inutile sciccheria… quanto ci sbagliavamo!
Il secondo curioso optional, che in realtà hanno quasi tutte le automobili in Oman, è l’accensione a distanza con il telecomando. A una prima superficiale analisi può sembrare una funzione marginale, ma dopo 10 minuti che sei in Oman ti rendi conto che è geniale.
Avete capito perché?
Immaginate di lasciare l’auto per andare a visitare un castello o un wadi.
Quando torni l’abitacolo avrà raggiunto la temperatura di fusione della ghisa.
Ma grazie al telecomando, potrete accendere motore e aria condizionata a distanza qualche minuto prima di salire a bordo: la differenza tra sopravvivere e liquefarsi.
Se un'immagine vale più di mille parole, un video a quante parole corrisponde?
“Eh, ma così qualcuno potrebbe rubarmi l’auto!” – penserete.
Vi anticipo subito un’altra caratteristica dell’Oman: non esistono i ladri.
Puoi tranquillamente gettare il portafoglio per terra e in pochi minuti qualcuno ti rincorrerà per riconsegnartelo.
Da Muscat a Sur: ecco, qui fa veramente caldo!
Per il momento tralasciamo Muscat, ci torneremo alla fine del viaggio in auto e con l’occasione ci concederemo una settimana fa-vo-lo-sa.
Dovrete leggere fino alla fine per scoprire cosa intendo.
Intanto vi allego una mappa sintetica delle nostre tappe, che potrà esservi di ispirazione nel caso decideste di
pianificare anche voi un itinerario.
La nostra prima tappa significativa è il Wadi Shab, il primo wadi del viaggio.
Se non ne avete mai sentito parlare, un wadi è un canyon scavato dall’acqua, spesso con sorgenti o piscine naturali nascoste tra le rocce. In Oman sono tantissimi, ciascuno diverso dagli altri: alcuni aridi e maestosi, altri rigogliosi e pieni di palme.
Per raggiungere il Wadi Shab bisogna attraversare un piccolo braccio d’acqua in barca, da lì inizia il sentiero che risale il canyon tra pareti color ocra e pozze turchesi.
Un posto meraviglioso, ma sotto quel sole implacabile sembrava di camminare dentro un forno a convezione. Se già ci stavamo allarmando per il caldo, la vista dei primi turisti collassati lungo il sentiero, soccorsi dai medici, non ha aiutato il morale del gruppo.
Poi abbiamo scoperto che la regione più calda dell'Oman era questa: più avanti le temperature sarebbero diventate via via
più tollerabili, perfino basse.
Riusciamo comunque a completare l’escursione e, tornati all’auto, ci concediamo una pausa con l’aria condizionata al massimo. Da lì proseguiamo verso Sur, antica città costiera e un tempo importante porto di marinai e commercianti.
A Sur ci aspetta la nostra prima cena omanita, turca in realtà: il Zaki Restaurant a vederlo da fuori non osereste mai entrarci, però notando il numero cospicuo di auto parcheggiate e di abitanti autoctoni che si accalcano per prendersi la cena d’asporto, un sospetto viene: qui si mangia bene!
Il numero di camerieri potrebbe sembrare sovradimensionato, però proprio per questo il servizio è celere e di qualità. Consigliata la grigliata mista.
Bilancio della prima giornata:
- volo aereo dormito 2,5 ore
- atterrato alle 6:15
- guidato per 250 Km
- camminato per 3 ore
- 2 turisti incontrati che erano collassati per il caldo con tanto di ambulanza
- quantità di curry, aglio e peperoncino ingurgitata per cena, incalcolabile
Come disse Forrest Gump: "Ora sono un po' stanchino".
Dopo una dormita ristoratrice visitiamo il nostro primo suk, cioè
un mercato tradizionale arabo.
In realtà la parola suk non indica un solo luogo, ma un intero labirinto di viuzze coperte dove ogni negoziante ha la sua minuscola bottega: chi vende spezie, chi stoffe, chi incensi o monili d’argento.
L’aria è densa di profumi, cardamomo, cannella, sandalo e soprattutto incenso.
Le voci che si accavallano tra richiami e contrattazioni.
È un’esperienza che va vissuta con calma, lasciandosi trascinare dal ritmo della gente più che dalla direzione delle strade.
Poco distante dal suk si trovano i cantieri delle dhow, le barche tradizionali omanite. Qui ancora oggi gli artigiani le costruiscono a mano, senza chiodi, seguendo le stesse tecniche tramandate da secoli.
È
interessante vederli all’opera: il legno che prende forma, le corde intrecciate, il ritmo lento e preciso dei martelli che si confonde col rumore del mare.
Prima di lasciare la città visitiamo anche il nostro primo forte, il Sunaysilah Fort, un piccolo gioiello di architettura difensiva con torri rotonde e mura color sabbia: la perfetta cartolina del nostro primo giorno nel vero Oman.
Dove dormire a Sur
Situato all’ingresso della grande città di Sur, nonostante si trovi lungo una delle arterie principali per chi arriva da Muscat, il Best Western Sur offre refrigerio e relax.
Camere spaziose, ottima colazione e soprattutto una piscina in cui rifrescarsi la sera dopo un viaggio sotto le temperature canicolari del nord dell’Oman.
A pochi minuti di automobile si arriva al suq, ai cantieri dei dhow e al forte
antico.
Dal Wadi Bani Khalid alle Wahiba Sands: inizia l‘avventura nel deserto
Lasciamo Sur di buon’ora e ci dirigiamo verso l’interno, puntando verso il Wadi Bani Khalid.
Se in Oman c’è un luogo che racchiude la definizione stessa di oasi, è questo. Dopo chilometri di montagne aride e villaggi polverosi, il paesaggio si apre all’improvviso su un canyon verde, attraversato da pozze d’acqua color smeraldo.
Il Wadi Bani Khalid è forse uno dei più belli del paese, e grazie alla sua posizione isolata resta sorprendentemente poco turistico. Tra palme, rocce levigate e cascatelle, si può anche fare il bagno, cosa che non ci siamo fatti ripetere due volte.
Un tuffo nelle sue acque fresche è un vero toccasana dopo ore di caldo e sabbia: il silenzio rotto solo dallo scrosciare dell’acqua.
Dopo questa parentesi di pace, riprendiamo la strada verso sud-ovest. La nostra meta è il deserto delle Wahiba Sands, e già arrivarci è un’avventura.
Per raggiungere il nostro lodge bisogna abbandonare l’asfalto e affrontare un vero e proprio percorso di 13 chilometri su piste di sabbia.
L’istante in cui lasci la strada “civile” e ti inoltri nel deserto è difficile da dimenticare: un misto di timore ed eccitazione pura. Il motore ruggisce, la sabbia vola, e la sensazione è quella di essere finiti dentro un film.
Una cosa però ci è stata ripetuta con chiarezza: nel deserto non ci si ferma mai.
Per nessuna ragione.
Perché se ti fermi, la sabbia ti inghiotte.
E quando, poco prima del tramonto, ci siamo fermati sulla cima di una duna e abbiamo guardato attorno, non c’era più niente: solo sabbia e silenzio a perdita d’occhio.
In quel momento abbiamo capito che l’avventura vera era appena cominciata.
Dove dormire alle Wahiba Sands
Già l’avventura e i paesaggi per arrivare al Desert Nights Resort giustificherebbero una notte qui, ma ovviamente non è tutto.
Qui si viene per contemplare i suggestivi colori e le magnifiche geometrie delle dune, sia al tramonto che all’alba.
Il resort organizza molte attività: gite in 4x4, quad, cammello, sandboarding… ce n’è per tutti i gusti.
È il posto giusto per divertirsi ed allo stesso tempo farsi coccolare da un insolito lusso.
Direzione Duqm: nel cuore del nulla
Dopo la notte nel deserto, riprendiamo la strada — o meglio, la pista — e percorriamo il tragitto a ritroso tra le dune.
Quando finalmente riguadagniamo l’asfalto, ci sembra di rientrare nella civiltà: una sensazione effimera, perché di lì a poco torneremo di nuovo nel vuoto.
Facciamo una breve sosta a Jalan Bani Buali per visitare il castello diroccato di Al Hamuda.
Onestamente, niente di speciale: ne vedremo di molto migliori nei prossimi giorni, soprattutto nella zona di Nizwa, dove i forti meritano davvero un dieci e lode. Ma di questo ve ne parlerò dopo.
Da lì in poi il viaggio continua in mezzo alla desolazione più totale.
Strade dritte come un righello, paesaggio lunare e nessuna traccia di vita. Talmente deserte che — esagerando di poco, potreste sdraiarvi sulla riga di mezzeria e farvi un sonnellino senza correre rischi.
Sabbia grossa, fina, gialla, bianca, sassosa... dicono che gli eschimesi abbiano 21 modi diversi per chiamare la neve.
Secondo me gli omaniti ne hanno altrettanti per la sabbia.
In questa porzione remota del paese abbiamo sperimentato la proverbiale gentilezza omanita.
Qui la solidarietà verso lo straniero non è un gesto, ma una regola non scritta: se ti fermi anche solo per fare una foto, nel giro di pochi secondi una macchina accosta e qualcuno ti chiede se hai bisogno di aiuto.
Boris ha commesso l’“errore” di salutare un’auto di passaggio con la mano: il conducente ha inchiodato, fatto inversione e ci ha raggiunti per sapere se avessimo un guasto.
Boris ha cercato di spiegargli che lo stava solamente salutando, ma la scena rimarrà indimenticabile.
La nostra meta finale sarebbe il sud dell’Oman, ma arrivarci in un’unica tirata non è fattibile.
Così ci fermiamo a metà strada, a Duqm: un centro anonimo, una manciata di palazzi, una stazione di servizio
e qualche hotel.
Nulla da vedere, ma ha tutto ciò che serve per rifocillarsi, fare il pieno e dormire.
Dove dormire a Duqm
Cercavamo un hotel lungo la strada che fosse comodo e pulito, giusto per riposarsi la sera e ripartire la mattina.
Il Season Inn Hotel Apartment Duqm è di recentissima costruzione (solo 6 mesi quando ci siamo stati noi), perciò tenuto molto bene, ma gli manca ancora una strada pavimentata per raggiungerlo. Per noi che arrivavamo di notte non è stato facile capire come arrivarci, nonostante vedessimo l’insegna illuminata.
Mirbat: dal deserto al monsone
Lasciamo Duqm diretti verso sud. La strada corre tra montagne e desolazione assoluta,
però deviando verso il Wadi Ash Shuwaymiyyah si può dare un
tocco avventuroso alla giornata.
Per andare e tornare bisogna affrontare 40 chilometri di piste sabbiose e massi: un percorso che mette a dura prova i nervi e le sospensioni.
Se non abbiamo sfasciato l’auto qui, ci siamo detti, siamo a posto per il resto del viaggio.
Il wadi è un luogo remoto e spoglio, abitato quasi solo da cammelli
che ruminano solitari muovendosi tra canyon e distese di ghiaia.
La vera bellezza, però, sta nelle rocce stratificate e colorate: tonalità di rosa, ocra e grigio che cambiano con la luce e disegnano paesaggi quasi marziani.
Dopo ore di strada, e qualche corsetta in auto sulle spiagge deserte di Al Khalouf (giusto
perché oggi ancora ci mancava il brivido di insabbiarci), arriviamo finalmente a Mirbat, la porta del Dhofar.
Ed è qui che il viaggio cambia volto.
Appena scesi dall’auto ci accorgiamo di qualcosa di strano: fa freddo.
Dopo giorni di sole e caldo torrido, l’aria umida e la nebbia ci spiazzano.
Gli omaniti, invece, sono entusiasti: da quando siamo arrivati non fanno che parlarci bene del Dhofar, la loro meta preferita durante la stagione del khareef, il monsone estivo che porta pioggia e vegetazione.
Per loro questo è il periodo migliore dell’anno: le montagne diventano verdi, le cascate si riempiono, e tutto il paese si riversa qui in vacanza. Gli alberghi sono pieni, le strade intasate da auto in fila per raggiungere le mete naturalistiche.
La cosa curiosa è che il clima è esattamente l’opposto di quello che noi europei sogneremmo per una vacanza: piove, c’è nebbia, tira vento e la temperatura scende a livelli da autunno in Pianura Padana.
Fuori dall’auto sono resistito pochi minuti
in maniche corte per il freddo; gli omaniti invece stendono la coperta sull’erba e fanno pic-nic sotto la pioggia, ridendo felici.
È proprio vero: si desidera sempre di più quello che si ha di meno.
Vale la pena visitare il Mirbat Castle e soprattuto il Taqah Castle, bellissima fortezza costiera con le sue torri rotonde e le mura color sabbia.
Da vedere anche il sito archeologico Khor Rori, l’antico porto di Sumhuram da cui partivano le navi cariche d’incenso per l’India e Roma.
Però come vi dicevo le mete più amate dagli omaniti in questa stagione sono
quelle naturalistiche.
Tra tutte, spicca il Wadi Darbat, con le sue cascate e i prati verdi: un luogo quasi irreale se si pensa che siamo nel cuore della penisola arabica. Qui il monsone trasforma tutto, regalando per qualche settimana all’anno un paesaggio che sembra uscito da un altro continente.
Dove dormire a Mirbat
Il Wyndham Garden Salalah Mirbat è favoloso, posizionato in riva al mare, con una bellissima piscina e un ottimo ristorante.
È senza ombra di dubbio il miglior hotel di Mirbat.
Il problema è che d’estate deve lottare con l’esagerata umidità portata dal vento direttamente dal mare.
Non si possono aprire le finestre nemmeno per pochi minuti.
Non sto scherzando, in pochi minuti, se aprite le finestre, dentro si bagnerà tutto, pareti, lenzuola e pavimento.
C’è tanto di cartello sulla finestra che avverte di questo problema.
Quando ci hanno consegnato la camera, appena entrati pensavamo ci fosse una perdita da qualche tubatura.
Poi si sono scusati, ci hanno dato un’altra camera e ci hanno offerto pure la cena.
Perciò si merita il massimo dei voti, ma non dite che non vi avevo avvertito.
Salalah: l’Oman che non ti aspetti
Eccoci arrivati nel punto più a sud del nostro viaggio, Salalah, la capitale del Dhofar.
La prima tappa è la Grande Moschea di Salalah, una delle più eleganti del Paese.
L’esterno è imponente ma sobrio, con minareti slanciati e cupole bianche che risaltano contro il cielo grigio del monsone.
All’interno, i tappeti immensi e i lampadari di cristallo creano un’atmosfera di pace assoluta.
A differenza di molti altri paesi musulmani, in Oman i turisti possono entrare nelle moschee, purché vestiti in modo rispettoso, ed è una delle esperienze più
esclusive per comprendere la spiritualità del luogo.
Poco distante si trova il Parco Archeologico di Al Baleed, che conserva le rovine dell’antico porto medievale di Zafar, un tempo centro fiorente del commercio dell’incenso.
Lasciata la città, ci spingiamo verso ovest lungo la costa.
A Mughsail assistiamo a uno degli spettacoli naturali più incredibili del Dhofar: qui le onde dell’Oceano Indiano si infrangono contro la scogliera e, passando attraverso fessure e cavità nella roccia, sprizzano in aria come geyser marini.
Proseguendo ancora più a ovest, raggiungiamo le spiagge di Fizayah, uno dei luoghi più suggestivi del sud dell’Oman.
Scogliere scure, vento, onde alte e una luce lattiginosa: qui sembra di essere sulle coste del Nord Europa in pieno inverno, più che nella penisola arabica.
L’unico indizio che tradisce la latitudine è la presenza di qualche cammello che
se ne sta lì sbigottito sulla sabbia umida.
Dove dormire a Salalah
Non dovendo starci più di un giorno (a differenza degli omaniti che ci passano le intere vacanze), ci siamo presi un hotel in città, che tra l’altro se vi dovesse servire è anche vicino all’aeroporto.
L’Hamdan Plaza Hotel è un anonimo hotel perfetto per un breve soggiorno, però se dovessi passare un periodo più lungo mi cercherei qualcosa di più scenografico.
Nizwa: le meraviglie architettoniche
Sveglia all’alba: la strada è lunga e la giornata promette di essere intensa.
Dopo tanti chilometri tra deserti, wadi e piogge improbabili, ormai non ci fa più paura niente.
Così, prima di riprendere la via principale verso nord, decidiamo di concederci una piccola follia: addentrarci nel Quarto Vuoto, il deserto di sabbia più grande del mondo.
Il nome ufficiale è Rub’ al-Khali, ma “Quarto Vuoto” rende meglio l’idea: un mare di dune infinite che si estende per migliaia di chilometri tra Oman, Arabia Saudita e Yemen.
Il nostro piano, se così si può chiamare, era semplice quanto incosciente: non seguire nessuna pista, ma andare a casaccio tra le dune.
Sì, lo ammetto, siamo dei pazzi,
questa è esattamente la cosa che mi ero ripromesso di non fare mai, ma Boris ci
teneva tanto...
Dopo aver documentato fotograficamente l'esperienza, anche se a questo punto
del viaggio non mi mancava di certo l'ennesima fottu...issima foto della nostra auto in mezzo
alle dune, rientriamo sulla strada principale e puntiamo dritti verso Nizwa, una delle città più affascinanti dell’Oman.
Vale la pena fermarsi qui almeno un paio di giorni, perché Nizwa è splendida e piena di luoghi da visitare nei dintorni.
La città vecchia è costruita in adobe, con vicoli stretti e case color sabbia che si fondono nel paesaggio.
Il Nizwa Fort, con la sua imponente torre circolare e le terrazze panoramiche, domina l’abitato: da lassù la vista spazia sui palmeti e sulle montagne dell’Hajar.
Abbiamo pianificato tutto per essere qui di venerdì mattina, giorno in cui si svolge il celebre mercato del bestiame.
È una delle scene più
genuine dell’Oman: all’alba, la piazza davanti al suk si riempie di uomini in dishdasha bianca che conducono capre e buoi lungo un grande cerchio.
Gli animali sfilano davanti ai compratori che li osservano, li toccano, fanno offerte e contrattano a voce alta.
Non è un evento pensato per i turisti, ma un vero e proprio rito sociale che si ripete da secoli, dove il commercio si mescola al costume e all’orgoglio locale.
Però riguardando la foto seguente mi sembra che in una ci sia uno strano omanita... riuscite ad individuarlo?
Nei dintorni di Nizwa le sorprese continuano.
A pochi chilometri si trova il Jabrin Castle, elegante e ricco di decorazioni interne, un esempio di architettura più raffinata rispetto ai forti militari.
Ma il mio preferito resta il Bahla Fort, per me il più bello dell’Oman.
È un’enorme fortezza in adobe, perfettamente restaurata e dichiarata Patrimonio dell’Umanità UNESCO: mura possenti, cortili silenziosi e un fascino che resiste intatto da oltre sette secoli.
E poi, come spesso accade nei viaggi, arriva la sorpresa non prevista.
Appena fuori città scopriamo un edificio ultramoderno che non compare su nessuna delle nostre guide: l’OAA Museum (Oman Across Ages Museum), un museo nuovissimo dedicato alla storia e alla cultura omanita.
La struttura è sorprendente, un contrasto tra architettura contemporanea e contenuti tradizionali, perfetto per capire la doppia anima del Paese: un piede nel passato, l’altro nel futuro.
Dove dormire a Nizwa
Magica è Nizwa e magico è l’ Antique Inn, un antico hotel in adobe appena ristrutturato, posto all’interno della cinta muraria.
Noi avevamo le camere fronte piscina e devo dire che oltre ad essere molto confortevoli, il fatto di poter uscire e farsi un tuffo ristoratore è un plus a cui non avrei rinunciato.
Attenzione che non tutte le camere sono uguali e non tutte, come le nostre, hanno il bagno privato.
Perciò scegliete oculatamente.
Il ristorante sul tetto offre una magnifica vista durante la colazione.
Da Nizwa a Misfat Al Abriyyin: tra tombe, canyon e oasi sospese
Lasciamo Nizwa di buon’ora, diretti verso le montagne del nord.
La prima tappa sono le tombe di Al Ayn, un sito archeologico preistorico arroccato su una cresta rocciosa.
Sulla carta sembrava facile da raggiungere… nella realtà, non si capiva da dov’era la strada.
Non si capiva semplicemente perché la strada non c’era!
Alla quinta inversione a U, ci siamo resi conto che per arrivarci bisognava guadare un fiume con l’auto… per fortuna l’acqua era bassa.
Se non altro eravamo gli unici visitatori, abbiamo potuto goderci il silenzio e le colline bruciate dal sole, con questa trentina di torri funerarie in pietra, perfettamente allineate, che dominano il paesaggio da migliaia di anni.
Proseguiamo poi verso il Wadi Ghul, noto anche come il “Grand Canyon dell’Oman”.
Un precipizio vertiginoso che si apre all’improvviso tra le montagne di Jebel Shams.
Inutile dire che ci siamo sbizzarriti con le foto, a ogni scatto ci avvicinavamo sempre un po’ di più al bordo, sfidando la gravità e il buonsenso.
Sulla via verso la destinazione finale facciamo una sosta ad Al Hamra, antica cittadina di oltre quattro secoli.
Sulla carta prometteva di essere una tappa interessante; nella realtà, è un po’ abbandonata a se stessa.
Case di fango crollate, vicoli deserti e molta immondizia.
Bella da fotografare, sì… ma da lontano.
A proposito, mentre scendete dalle montagne di Jebel Shams buttate un occhio a sinistra: potrete scorgere Old Ghul, un villaggio in rovina arroccato sulla parete opposta del canyon.
Un agglomerato di case di fango e pietra, perfettamente mimetizzato con la montagna, che sembra uscito da un film d’avventura.
È molto fotogenico, soprattutto con la luce del tardo pomeriggio, quando il sole accende le pareti del canyon di riflessi dorati.
Infine arriviamo a Misfat Al Abriyyin, un villaggio incastonato tra le montagne, famoso per le sue coltivazioni di datteri e per il sistema di irrigazione falaj, che distribuisce l’acqua lungo terrazzamenti sospesi nel verde.
Se posso darvi un consiglio, prendete nota della guest house
di cui vi parlo ora, è stata una delle esperienze più autentiche del
nostro viaggio in Oman.
Dove dormire a Misfat Al Abriyyin
La guest house Al Misfah Hospitality Inn è veramente una perla, una possibilità unica e rara di dormire in un’oasi dentro un edificio storico.
Il padrone di casa, il signor Abdullah, si è impegnato molto per ristrutturare la vecchia casa di famiglia pur conservandone lo stile originario.
La cena e la colazione sono omanite al 100%, con prodotti a chilometro zero (i datteri vengono raccolti dietro a casa).
La mattina il nostro ospite ci ha gentilmente portato in giro a visitare le sorgenti e le coltivazioni, spiegandoci i segreti e lo stile di vita della zona.
È uno dei ricordi più puri che ho dell’Oman.
Vi avverto solo che non si arriva sotto all’hotel con l’auto e la vostra camera potrebbe essere in cima a ripide e strette scale: insomma preparate uno
zaino leggero per la notte e la valigia pesante lasciatela in auto.
Ritorno a Muscat: l’ultima discesa
Ultimo trasferimento del nostro viaggio on-the-road in Oman.
La destinazione finale è Muscat, dove ci fermeremo per una settimana di meritato riposo… e anche un po’ di lusso, ma di questo vi parlerò tra poco.
Oggi la vera protagonista è stata la nostra Tahoe, le abbiamo chiesto l’ultimo sforzo: scavalcare le montagne lungo una strada sterrata che sembrava disegnata da un geometra con manie di sadismo.
Il viaggio è stato lungo anche perché le marce ridotte erano d’obbligo per evitare di volare giù dalle varie scarpate che si susseguivano.
Se non altro, ci siamo consolati scattando le foto più spettacolari della nostra Tahoe, immortalata tra panorami che tolgono il fiato.
Quando nel tardo pomeriggio abbiamo finalmente raggiunto la pianura, ci siamo concessi gli ultimi due forti (avevo perso il conto da un pezzo).
Il primo è Al Hazm Fort, un labirinto di stanze, corridoi e scalinate.
All’inizio ci sembrava stranamente tranquillo, poi abbiamo capito il motivo: era pieno di pipistrelli.
Ce ne siamo accorti quando, ormai addentrati nelle segrete, abbiamo sentito un fruscio sopra la testa.
Siamo usciti in punta di piedi, con la stessa discrezione di chi non vuole svegliare un intero condominio notturno.
Il secondo è il Nakhal Fort, maestoso e straordinariamente fotogenico.
Costruito su un affioramento roccioso, domina la pianura con le sue torri perfettamente restaurate e il contrasto tra l’ocra delle mura e il verde delle palme.
Non a caso, è la foto che ho scelto per aprire questo racconto.
E dopo tante strade, dune e montagne, il nostro viaggio si chiude dove era iniziato: a Muscat.
Al Bustan Palace: il pezzo forte di Muscat
Adesso vi parlo delle cose da fare a Muscat, ma devo essere sincero,
il ricordo che mi porto nel cuore è l’hotel!
L’Al Bustan Palace… Wow!
È la prima parola che mi viene in mente per descrivere questo luogo favoloso.
Uno dei pochissimi hotel a 6 stelle al mondo, ed è ovviamente il preferito dal Sultano dell’Oman, a cui è riservato un intero piano.
La hall è così alta che ti viene il torcicollo solo a guardarla; le camere sono spaziose e curate nei minimi dettagli; le piscine, immense e silenziose; la barriera corallina privata, perfetta per lo snorkeling.
E poi colazioni da nababbo, cene da ristorante stellato e una spa da cartolina.
Solo per darvi un’idea, nella foto seguente vi faccio vedere uno degli undici banchi della colazione a buffet…
Ok, è ufficiale: questa settimana niente dieta!
Ma più di tutto colpisce la cura del servizio, quella sensazione costante di essere al centro di attenzioni discrete e impeccabili.
Potrei fare decine di esempi, ma
ve ne racconto uno solo: quando arrivi in spiaggia o in piscina, dovete solo scegliere il vostro ombrellone.
Nel giro di pochi secondi, lo staff dispone tre asciugamani piegati in una composizione da far invidia al “cubo” che ci facevano fare a militare, ti porta un frigo portatile con acqua fresca e ti lascia sul tavolino un pulsante Wi-Fi per chiamarli in caso di qualsiasi necessità.
E per concludere, un dettaglio che vale più di mille recensioni: quando alla
reception ho comunicato che il nostro volo per l’Italia era in piena notte, non ci hanno pensato nemmeno un secondo: “Late checkout? Of course, sir, for free.”
Probabilmente stai pensando: “Sì ma quanto costa?!”
Meno di quello che credi,
lo scorso Agosto ho speso di più a Caorle (Venezia) in un fatiscente hotel a 3 stelle
con le camere arredate con i mobili della nonna morta.
Cosa fare a Muscat
A Muscat fa caldo.
Un caldo che ti scoraggia dall’idea di abbandonare le coccole dell’Al Bustan Palace, ma con un po’ di forza di volontà vale davvero la pena esplorare la capitale omanita.
La tappa imperdibile è la Grande Moschea del Sultano Qaboos, uno dei luoghi di culto più belli e maestosi del Medio Oriente.
L’esterno, tutto in marmo bianco, è circondato da giardini perfettamente curati.
All’interno, un tappeto persiano di oltre 4.000 metri quadrati, tessuto a mano da più di seicento artigiane, e un lampadario di cristallo Swarovski talmente grande che se cadesse servirebbe un decennio per raccogliere tutti i cocci.
Come ho già raccontato precedentemente, in Oman le moschee sono visitabili anche dai non musulmani, un gesto di apertura raro e molto apprezzabile.
Durante la visita, gli imam ci hanno accolto con un sorriso e ci hanno offerto tè e datteri, invitandoci a una piacevole chiacchierata.
Mai mi sarei aspettato un giorno di dibattere di teologia con un
gruppo di imam dentro ad una moschea.
Un momento semplice, ma sincero, che riassume bene lo spirito ospitale del Paese.
La sera, un giro al suk di Muttrah, nella città vecchia, è d’obbligo, soprattutto se non avete ancora comprato souvenir
per la mamma.
Che ve lo dico a fare, ovviamente in Medio Oriente non si compra mai al primo prezzo che vi propongono.
Volendo, da Muttrah si può anche salire al forte che domina la città vecchia: la vista deve essere magnifica, ma lo confesso… di forti ne avevo abbastanza.
Ah, dimenticavo: le immersioni subacquee non mancano mai nei nostri viaggi.
Poco distante dall’hotel c’è il Gulf Divers, che organizza uscite molto interessanti nella zona.
Noi ci siamo concessi un paio di giorni di immersioni, soprattutto per esplorare l’Al Munassir Wreck, un
suggestivo relitto militare affondato di proposito per creare una barriera artificiale.
E la cosa incredibile è che si trova proprio davanti all’hotel: un colpo di fortuna non da poco, poter uscire in barca e ritrovarsi
in pochi minuti in un sito subacqueo così spettacolare.
E se una sera volete concedervi una pausa dalle sontuose cene a tema dell’hotel, vi consiglio vivamente il Turkish House Restaurant.
Un’istituzione a Muscat, consigliato da tutti i residenti a cui ho chiesto dove mangiare pesce.
Qui le aragoste abbondano come se piovesse, servite su grandi vassoi e cotte alla perfezione.
Il tutto a un prezzo che in Italia vi basterebbe appena per una pizza e una birra.
Peccato averlo scoperto solo negli ultimi giorni di vacanza, altrimenti ci sarei andato sicuramente più di una volta.
Ma allora, si può andare in Oman d’estate?
Ora che il viaggio è finito, posso rispondervi con assoluta certezza: sì, si può fare. Anzi, si deve.
Certo, fa caldo — a tratti molto caldo — ma non più di quanto si possa sopportare con un po’ di organizzazione, un
frigobar in macchina e l’aria condizionata azionabile a distanza.
Il
segreto è capire che in poche ore puoi passare dal deserto infuocato delle Wahiba Sands alle nebbie fresche del Dhofar, dai canyon rocciosi di Jebel Shams alle oasi verdi di Misfat, fino alle spiagge ventose di Salalah.
Di questo Paese mi porto a casa il ricordo dei cammelli nella nebbia, delle strade infinite che tagliano il nulla e soprattutto dell’incredibile gentilezza degli omaniti, sempre pronti a fermarsi per chiederti se hai bisogno di aiuto anche quando sei solo fermo a fare una foto.
E poi il fruscio delle dune, la freschezza dei wadi, la pace delle moschee e la magia del tramonto visto da un forte, con la sabbia che brilla come rame.
Ed è proprio con una foto del tramonto che voglio concludere questo racconto, scattata nella spiaggia dell’hotel un minuto prima di prendere il taxi che ci avrebbe portato in aeroporto per tornare in Italia.
Quindi è proprio l’ultima foto…
Ci stai facendo un pensierino?
Prima di prenotare, sappi che gli hotel che ho citato nel racconto non sono messi a caso: sono il risultato di tante ricerche, confronti e mappe consumate. Ogni hotel che cito l’ho provato di persona durante i miei viaggi, quindi qui finiscono solo posti dove tornerei volentieri.
Se deciderai di prenotare su Agoda cliccando sui link presenti nei miei racconti, per te non cambierà nulla, non spenderai un euro in più, ma mi aiuterai a mantenere vivo questo blog e a scrivere nuove guide utili.
Uso Agoda praticamente da sempre, offre prezzi davvero ottimi e ha una scelta nettamente superiore ad altri concorrenti, soprattuto nelle mete fuori dai percorsi turistici più gettonati.